La memoria corta del Nord: la Cassa per il Settentrione

No, non è un errore di trascrizione. Non è alla Cassa per il Mezzogiorno che mi riferivo nel titolo, ma proprio a quella per il Settentrione. Indubbiamente, fa un certo effetto apprendere che ne esistesse una anche per il Nord: è come assistere al crollo del muro di Berlino.
D’altronde, nell’immaginario collettivo, la Cassa per il Mezzogiorno rappresenta un sinonimo per definire i meridionali come sfruttatori, scansafatiche, truf-
fatori e così via, che talvolta basta solo pronunciarne il nome, come recitava un famoso confetto lassativo che, stando ad una pubblicità degli anni Settanta, prometteva mirabilie con un “basta la parola”, a rinnovare la prova di colpevolezza (un espediente manipolatorio che mira alla deresponsabilizzazione, per po-
ter giustificare le iniquità di una politica duale, leggasi coloniale, su cui si regge il sistema politico italiano che penalizza il Sud in favore del Nord).
Entrambe le Casse videro la luce nella stessa giornata, il 10 agosto 1950, a distanza di qualche minuto l’una dall’altra. Alla nascita fu assegnato ad ambedue un numero di riconoscimento: 646 per quella del Mezzogiorno; 647 per quella del Settentrione. Ma, anche se gemelle, esse erano profondamente diverse, come tutti i gemelli eterozigoti. La prima fu dichiarata come “Istituzione della cassa per l’esecuzione di opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno)”. La seconda, invece, prese il nome di “Esecuzione di opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia settentrionale e centrale”. Non può non saltare all’occhio la presenza di quel “Cassa per il Mezzogiorno” riportato sulla Gazzetta Ufficiale e l’omissione di “Cassa per il Settentrione” per la seconda. Ma si sa, talvolta alcuni genitori destinano più attenzioni ad un figlio piuttosto che ad un altro, per cui erano stati più ridondanti con la gemella nata qualche attimo prima. Così, se la nascita della Cassa per il Mezzogiorno fu strombazzata urbi et orbi, nessuno seppe dell’esistenza della gemella, tranne il Nord, in particolar modo il Veneto.
Ma, in questo caso, l’enfasi con cui si diede risalto a quella per il Mezzogiorno era necessaria a gettare fumo negli occhi, per distogliere l’attenzione da quella porcata che aveva appena attuato il Governo De Gasperi: la sottrazione dei fondi Erp del Piano Marshall, che erano stati destinati in misura maggiore al Sud, maggiormente colpito dall’evento bellico, ma dirottati al Nord in misura del 87% (contro l’accaparramento dei fondi Erp si batté Don Luigi Sturzo, il quale senza mezzi termini definì gli industriali del Nord “erpivori”), e confezionare la Cassa come l’ennesima forma di assistenzialismo nei confronti del Sud. Potrebbe sorprendere che a schierarsi contro la Cassa per il Mezzogiorno fossero proprio politici meridionalisti, i quali intravvidero l’ennesima fregatura per il Sud. E non si sbagliarono (la Cassa per il Mezzogiorno non era stata strutturata affinché il Sud si sganciasse dal ruolo di colonia interna del Nord, per cui i fondi della Cassa per il Mezzogiorno, da aggiuntivi furono usati come sostituitivi di quelli per la spesa pubblica, e ben al di sotto di quelli spettanti per legge). Il disegno era ben congegnato, non c’è che dire. Tutto secondo i piani previsti.
D’altronde, il Presidente di Confindustria, il genovese Angelo Costa, si era battuto affinché la Cassa per il Mezzogiorno fosse utilizzata solo per bonifiche e lavori di spesa ordinaria non già per creare infrastrutture: gli industriali del Nord non volevano “doppioni”.
E Costa riportò a De Gasperi. Gli industriali avevano già trovato la soluzione: dislocare al Sud le aziende già esistenti, mantenendo la sede madre al Nord, beninteso. E De Gasperi eseguì (gli industriali del Nord erano stati chiari: nessuna concorrenza, ma manovalanza meridionale a basso costo da impiegare nei loro apparati industriali. A questa forma di schiavismo si opposero alcuni politici e il sindacalista Di Vittorio, sia pur invano).
Milioni di meridionali, stretti nella morsa della povertà e della fame si mossero alla volta delle fabbriche di quel ricco Nord, quasi lo fosse per volere divino, grati verso i “fratelli”, malgrado l’accoglienza non fosse delle migliori e trovassero alloggio, si fa per dire, nelle soffitte, nelle cantine, nei vecchi vagoni dismessi fuori città, in ambienti umidi e fatiscenti, senz’acqua né servizi igienici. Ma la fame era tanta ed essi superavano anche la vista dei cartelli “È vietato l’ingresso ai meridionali e ai cani”; “Non si affitta ai meridionali”.
Di certo i meridionali non potevano immaginare che le fabbriche dove venivano impiegati fossero le stesse che per decenni lo Stato aveva sostenuto con fondi a pioggia, per scongiurarne il fallimento (il prof. Ernesto Rossi, politico, economista, aveva definito l’industria del Nord come parassitaria “…frutto del continuo connubio tra politicanti ed affaristi”). Acclarato che l’ingordigia del Nord non conosceva freni, il dirigente democristiano Gavino Sabadin, veneto, ex sindaco di Cittadella, appreso della proposta di una Cassa per il Mezzogiorno fece fuoco e fiamme affinché anche al Veneto fossero accordati i medesimi benefici, proponendo una Cassa per il Settentrione. E tosto si rimediò alla “ingiustizia”. Sabadin aveva fatto leva sulla povertà che affliggeva anche il Veneto, malgrado sapesse che i comuni della sua regione, trovandosi a ridosso di quelle aree che stavano sviluppandosi come triangolo industriale avrebbero tratto benefici, pretese le medesime opportunità di sviluppo industriale. E su 583 comuni veneti ben 489 si dichiararono aree depresse (Benetton nacque grazie alla Cassa per il Settentrione). La pioggia di miliardi di lire di fondi aggiuntivi che cadde sul Veneto, fece sì che i veneti imparassero l’arte di “rimboccarsi le maniche” (termine tanto caro a Zaia).
La Cassa per il Settentrione rappresentò una ulteriore entrata di risorse economiche anche per quelle aree già ben rimpinzate.
Ma si sa, l’appetito vien mangiando. E il Nord “tene ’o sfunnolo” da 163 anni.

Share this content:

Commento all'articolo