Lavoro dignitoso, le Acli propongono una terza via
C’è una terza via per calcolare il salario minimo: è l’indice del lavoro dignitoso. La proposta arriva dalle Acli, le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Prima, però, servono l’apertura di un confronto con i sindacati e la comunità scientifica; l’individuazione di una soglia minima quantitativa e qualitativa; la valorizzazione degli elementi di qualità della contrattazione collettiva. Tutto alla luce dell’articolo 36 della nostra Costituzione che, come ricorda Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, «stabilisce il diritto a una retribuzione sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa».
La proposta delle Acli si articola in due fasi principali. Da un lato, individua soglie quantitative di retribuzione minima, basate su standard europei e sulle condizioni di vita nazionali, per garantire una dignità economica essenziale. Dall’altro, mira a un’analisi approfondita dei contratti di lavoro, andando oltre la semplice classificazione del Cnel e valutando aspetti qualitativi come la stabilità e le condizioni di impiego. Dall’incrocio di queste due prospettive nasce l’indice del lavoro dignitoso: un parametro che aiuta a misurare non solo l’adeguatezza salariale, ma anche la qualità complessiva delle condizioni di lavoro.
Anche la recente giurisprudenza della Cassazione dell’ottobre 2023, richiamando l’importanza del «salario minimo costituzionale», evidenzia la necessità di elaborare nuovi strumenti per valutare la proporzionalità delle retribuzioni rispetto alle condizioni dignitose di vita.
È in questa direzione che si colloca l’indice proposto dalle Acli. «Dobbiamo come sistema Paese mettere fuori gioco il lavoro che pur stabile e regolare non rispetta il dettato costituzionale. Non è facile, ma ne va della ripartenza di tutto il Paese, altrimenti ostaggio di un’economia sempre più trasandata anche perché fa margini con bassi salari e diseguaglianze, riducendo così sempre più la sua vocazione industriale e creativa», sottolinea Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale delle Acli e responsabile dell’Area Lavoro.
«Il tutto – illustra Tassinari – per confluire nella realizzazione – attraverso la collaborazione con parti sociali, enti di ricerca e Università – di un indice del lavoro dignitoso, un parametro utile per le parti sociali stesse, che proponiamo diventi vincolante anche per la registrazione dei contratti collettivi al Cnel, con una modifica normativa che consenta questa cesura. In attesa della quale potrà essere usato come job advisor, o meglio contract advisor, come sentinella per allertare le persone sui contratti insufficienti e per evidenziare invece le aziende e le pubbliche amministrazioni serie che investono sulla qualità dei salari e del lavoro».
Questa proposta di indice parte dalla considerazione che un’esistenza libera e dignitosa non lo è solo in virtù di una retribuzione o di un numero (9-10-11 euro all’ora), ma per tanti altri elementi che la potrebbero definire tale e che andrebbero definiti: i risparmi, l’accesso ai servizi presenti in un territorio, l’età e il sesso dei lavoratori, il titolo di studio eccetera.
Per le Acli, infatti, «una parte del lavoro regolare rischia di non rispettare la nostra Costituzione». Spesso due-tre occupazioni non sono sufficienti a mantenere una famiglia. «Questo lavoro poco remunerato – conclude Tassinari – danneggia tutti perché concorre a deprimere il valore dei salari e dei redditi da lavoro di tutti, abbassa il gettito fiscale e previdenziale per sostenere la spesa pubblica, le pensioni future e il welfare e riduce la percezione del contrasto d’interessi tra quanto offre il lavoro nero e quanto offre quello regolare, inducendo erroneamente molte persone, anche moltissimi giovani, a non opporsi al sommerso, ma a preferirlo». (M.C.)
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