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Dieci anni senza Pino
di Maria Battaglia
Sono le ore 19 del 7 gennaio 2015. Piazza del Plebiscito, il salotto buono di Napoli, accoglie oltre centomila persone. Alcune stazionano sotto le finestre del Palazzo Reale illuminate a giorno, altre si sono arrampicate nelle nicchie che ospitano le statue dei re o sono addirittura riuscite a cavalcare quelle equestri di Carlo di Borbone e di suo figlio Ferdinando, altre ancora stipate nel colonnato che circonda la chiesa di San Francesco di Paola per unirsi in un unico abbraccio…
Sui volti incredulità, dispiacere, smarrimento e una profonda tristezza perché quell’uomo e soprattutto quella voce rappresentano un’identità collettiva, come ha spesso ricordato Maurizio de Giovanni.
In lontananza si sentono ovattati accordi di chitarre e voci che accennano musiche note e parole senza tempo. Tra poco saranno celebrati i funerali di Pino Daniele. Un’insistente e finissima pioggerella cade dal cielo e il silenzio diventa assordante quando la bara fa il suo ingresso nella Piazza stracolma. E fa la sua comparsa “Appocundria che scoppia ogne minuto ‘mpietto” che nonostante il trascorrere del tempo costituisce ancora oggi il nucleo centrale delle emozioni che Pino ci ha regalato con la sua musica.
Dal “vascio” dove è nato nel quartiere Porto “addò nun ce sta ‘a luce manco a miezu juorno” la sua voglia di suonare lo fa approdare alle Fontanelle. È qui, in queste antiche gallerie naturali di tufo dal colore giallo ocra e dalla consistenza porosa, che inizia la sua carriera musicale con gli amici di sempre che lo accompagneranno ai concerti in giro per il mondo. Memorabile quello che terrà il 19 settembre del 1981, a quasi un anno dal terremoto dell’Irpinia, sempre in piazza del Plebiscito.
Il Mascalzone Latino, il Nero a metà, il Pazzo, il ri-trovato Masaniello ha avuto la capacità di entrare nella vita di molte persone dando a ciascuna di loro tanto di sé.
Ha avuto il merito di osare il cambiamento coniugando musica colta e popolare e miscelando generi e sonorità diverse dalla tradizione partenopea, il rock, il jazz, creando uno stile tutto suo da lui stesso chiamato “tarumbò” a indicare la mescolanza di tarantella e blues, assunti come emblema delle rispettive culture di appartenenza.
Ha dato a Napoli nuove parole e nuove sonorità al pari delle onde del mare che si rincorrono e si infrangono sugli scogli accarezzati dal vento di scirocco. Ha cantato con quella voce poco adatta al canto di Donna Concetta, di “Fortunato che tene ‘a rrobba bella”, del bravo ragazzo che vò essere ‘na signora, di Anna, della Bella ‘Mbriana, ‘o Scarrafone, ’o mare , ’a tazzulella ‘e cafè, del vicchiariello che soffre per la morte di Maria ma che nessuno vuole ascoltare, e soprattutto della sua terra, di Napoli che viene da sempre vista come ‘na carta sporca e nisciuno se ne importa ma che abbasta ‘na jurnata ‘e sole per sorridere alla vita.
Chi ha avuto la fortuna di suonare con lui, chi lo ha ascoltato in un concerto o ha cantato e canta suoi brani ne sente la mancanza, ogni giorno. Chissà se in vita si sia reso conto del tanto affetto che lo circondava e chissà quali altri capolavori ci avrebbe regalato. Eduardo, Troisi, Totò per ri-vederli devi cercare le loro opere tra film e commedie. Pino no, è lì con la sua musica.
Non hai bisogno di guardare, basta ascoltare come quando ascolti i battiti del tuo cuore, lo stesso che lo ha tradito in un freddo giorno di gennaio mentre guardava dalla finestra la campagna toscana e aveva in bocca il sapore non di una “madeleine” ma di un biscotto all’amarena.
Di Pino Daniele sappiamo tanto. Altri particolari – inediti – della sua storia personale e artistica (“La musica per me, più che una passione, è una missione”) sono nel libro dal titolo “Pino Daniele – Tutto quello che mi ha dato emozione viene alla luce”, edito da Rai Libri, scritto dal figlio Alessandro.
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