A Sanremo serve Napoli

di Emilio Caserta

Napoli continua a regalare al mondo artisti di straordinaria caratura che portano lustro e identità anche al Festival di Sanremo. Eppure, la storia ci insegna che il Festival di Sanremo nasce proprio sulle spalle della grande tradizione musicale napoletana. Un’ingiustizia storica che ancora oggi si riflette nel trattamento riservato alla città partenopea, spesso bersaglio di pregiudizi e razzismo culturale, come dimostrano recenti episodi, tra cui la questione Roccaraso.
Nel 1931, Napoli esportò la sua arte a Sanremo con il “Festival partenopeo di canti, tradizioni e costumi”, un evento senza gare che celebrava la canzone napoletana e il suo patrimonio secolare. La risonanza fu tale che l’evento venne riproposto anche sul Lago di Lugano nel 1934. Da questa esperienza nacque, vent’anni dopo, il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, ideato dal floricoltore Amilcare Rambaldi, che trasse ispirazione proprio dallo spettacolo napoletano del ’31. Tuttavia, mentre Sanremo cresceva e diventava la vetrina della musica italiana, Napoli veniva progressivamente esclusa e, nel 1971, il Festival della Canzone Napoletana venne cancellato. Una scelta che rappresentò l’ennesima imposizione del Nord sul Sud, spezzando un legame artistico e culturale che aveva reso grande la musica italiana nel mondo.
Nonostante tutto, gli artisti napoletani continuano a portare il loro talento sul palco di Sanremo con un’umiltà e una consapevolezza delle proprie origini che li distingue dagli altri partecipanti. Tra i giovani artisti, Geolier, Rocco Hunt, Stash e molti altri incarnano un senso di fratellanza e comunità tipico del popolo napoletano. Rocco Hunt canta il dramma dell’emigrazione, Stash ricorda il sacrificio di chi si sveglia alle quattro del mattino per lavorare, mentre Geolier porta la lingua e la cultura napoletana davanti a milioni di spettatori partendo dagli angoli più sperduti di Secondigliano, dimostrando che la musica napoletana non è solo folklore, ma identità e orgoglio, e soprattutto la vita vera e la difficoltà quotidiana che mezzo mondo ha nell’andare avanti. Non è scontato!
A differenza di molti artisti italiani che si muovono come solisti in un mondo sempre più individualista, i napoletani fanno gruppo, si supportano a vicenda, conservano un legame con le proprie radici che li rende unici. Napoli non ha bisogno di Sanremo per esistere, è Sanremo ad aver bisogno della potenza culturale e musicale napoletana per rimanere rilevante. Quindi oggi più che mai è necessario riportare il Festival della Canzone Napoletana a Napoli, restituendo alla città il ruolo che le spetta di diritto di capitale della Musica e, qui nessuno può negarlo, per questo fa così paura. Per questo viene così presa in giro e bistrattata. La musica napoletana è patrimonio dell’umanità, e il suo valore deve essere riconosciuto con un evento di pari dignità rispetto a Sanremo, dove la lingua napoletana, le melodie e le storie del Sud possano brillare senza doversi piegare a logiche di mercato imposte da un’Italia che troppo spesso dimentica le sue vere radici.
Basta ricordare il boicottaggio che proprio lo scorso anno ebbe Geolier, supportato da un intero popolo e non solo. Il grande Totò lo aveva capito già nel 1960, quando rifiutò di essere presidente di giuria a Sanremo per non fare “l’uomo di paglia”. Non si piegò al sistema e difese la dignità di Napoli e della sua musica. Oggi, a distanza di decenni, è tempo di raccogliere quella lezione e riportare la canzone napoletana nella sua vera casa: Napoli! Abbiamo gli artisti, abbiamo le piazze, abbiamo i presentatori, abbiamo la gente quella vera, cosa manca? Ah, giusto… gli interessi economici!

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