Conte e Spalletti, due duri dal cuore azzurro
Sono senza alcun dubbio gli allenatori italiani che emergono tra tutti: Luciano Spalletti e Antonio Conte. Il primo alla guida della Nazionale che ha rigenerato, il secondo con il Napoli “risorto”, come l’Araba Fenice, dalle ceneri della passata stagione. I due, oltre a dare un’impronta internazionale alle rispettive squadre, hanno fornito un’anima, un cuore, una generosità e la passione ai due gruppi allenati. Entrambi nel segno di Napoli, perché il Napoli e Napoli sono state per Spalletti e lo sono diventate quasi subito per Conte le stagioni non solo della loro grande professionalità ma soprattutto del cuore.
Una filosofia di vita che, parafrasando Luciano De Crescenzo, ha creato una simbiosi perfetta tra uomini di libertà e di amore ammorbidendo, quel tanto necessario, due caratteri duri, spigolosi, impulsivi in modi diversi, permalosi professionalmente. I nostri, nelle loro diversità di temperamento e di carattere, hanno trovato a Napoli l’habitat e l’humus ideali per affermarsi in modo chiaro, pulito, senza dietrologia o polemiche pretestuose. A dimostrazione che si può diventare dei top pur partendo da situazioni completamente diverse quando ci sono tenacia, idee e valori miscelati con la passione e il calore dell’ambiente circostante. Spalletti, da umile calciatore, ha lottato, faticato, sofferto, per conquistarsi da allenatore spazi importanti cambiando direzione a una carriera, spesso complicata anche dal suo carattere, andando a vincere in Russia. Infatti, il suo approdo a Napoli non è stato rose e fiori, alimentato da dubbi e perplessità non solo dei tifosi ma anche di certa stampa che, dopo l’addio polemico all’Inter e due stagioni sabbatiche, aveva sentenziato che in Italia non avrebbe mai vinto lo scudetto.
Il Napoli era la sua grande occasione per smentire gufi e cassandre. Non l’ha sprecata, vincendo alla seconda stagione uno scudetto che mancava ai napoletani da 33 anni, frutto di un lavoro tecnico, tattico e territoriale profondissimo non solo al gruppo allenato ma, non è un paradosso, anche mentale allenando i tifosi. In Nazionale sta provando, dando già segnali importanti, a riportare di azzurri nell’élite internazionale avendo sopportato con pazienza ingiuste critiche e feroci polemiche dopo il flop degli europei dove non aveva avuto il tempo minimo necessario per preparare una squadra competitiva.
Tutt’altra storia per Conte, uomo del Sud arrivato giovanissimo a Torino, sponda Juve, dove lottando e correndo da precursore tuttocampista è diventato prima capitano vincente e poi l’allenatore di tre scudetti consecutivi simbolo della rinascita juventina. L’addio non senza polemiche – “non si può entrare in un ristorante da 100 euro avendone in tasca solo 10” – non tanto alla Vecchia Signora ma ad Andrea Agnelli, è stata la conferma che l’uomo, prima ancora del professionista, è tosto, poco propenso al compromesso. Come del resto dimostrano i suoi addii al Chelsea a all’Inter e più recentemente le dimissioni dal Tottenham. A Napoli è stato accolto da un tifo caloroso che ha rispettato la sua storia juventina quando in conferenza ha detto: “la Juve è la mia storia ma sono l’allenatore del Napoli ed il Napoli è la squadra per cui tifo e tiferò”, suscitando un boato di applausi tra i tifosi presenti. Napoli è la sua grande occasione non solo per riconfermare la sua bravura di allenatore ma anche per affermare le sue doti di manager visto che De Laurentiis, cosa mai fatta dal presidente in venti anni, gli ha consegnato le chiavi tecniche della società dopo il fallimento della scorsa stagione. Spalletti e Conte, due uomini al comando di due realtà difficili da rilanciare come la Nazionale e il Napoli.
Tanto freddo, ironico, sibillino il Luciano da Certaldo, quanto impulsivo e sanguigno il leccese che ricorda spesso la versione colta e moderna di Oronzo Pugliese. Eppure nella loro diversità di carattere, questi due grandi professionisti hanno una visione comune del calcio: velocità, pressing, energia. Più ragionate in Spalletti, più verticalizzate in Conte, posate da entrambi con la rivalutazione del concetto del “noi”, dell’altruismo e della disponibilità totale al servizio della squadra al posto dell’io. Spalletti, dopo le iniziali difficoltà, sta provando le parole e gli uomini giusti per una Nnazionale che sta riproponendo un calcio piacevole che diverte i protagonisti in campo e i tifosi sugli spalti. Conte, a Napoli, ha portato il suo carisma. L’esperienza e i valori che hanno restituito serenità, convinzione, autostima al gruppo.
Entrambi propongono un calcio frutto di una profonda cultura del lavoro non legato ad un modulo ma fatto di equilibrio, coraggio, aggressività. Un calcio, insomma, fatto da uomini di libertà e di amore fusi insieme, il massimo della vita per il filosofo De Crescenzo. Un calcio un po’ napoletano in Nazionale e nel Napoli? Forse sì. Soprattutto se, a veder bene, due personalità così diverse hanno scoperto a Napoli e nel Napoli il loro minimo comune denominatore calcistico: vincere!
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