Il calendario della morte: l’architettura funebre del Fuga al cospetto della corte borbonica
di Luigi Cacciatore
Si era intorno alla metà del 1700 quando le idee illuministe, rifiutando il concetto di morte inteso come allontanamento dell’individuo dalla propria comunità, lo tradussero nell’esigenza di immortalare la memoria dell’uomo.
Ciò anche attraverso l’esecuzione di rigorose realizzazioni architettoniche che fossero in grado di generare quelle certezze che si ponevano a fondamento delle nuove discipline sociali.
Il costoso programma edilizio che i Borboni decisero di avviare in quel periodo si affermò come uno straordinario esempio in tutta Europa: nel 1750 si vide infatti il Regno di Napoli intraprendere importanti attività di ristrutturazione in tutta la capitale.
Prima di partire per la Spagna, Sua maestà Carlo di Borbone chiamò a corte l’architetto illuminista più quotato del periodo: giunse così a palazzo reale Ferdinando Fuga, che era già stato nominato Architetto del Popolo Romano nel 1748. Fuga, a Napoli, venne elevato al rango di Architetto del Regno e realizzò gran parte dei progetti edilizi sociali voluti dalla famiglia reale.
Nel 1762 gli venne commissionata la progettazione di un cimitero che fosse esterno alla città, destinato a ospitare le spoglie del popolo indigente, che sino ad allora venivano ammassate al di sotto di chiese ed ospedali, dentro a cave o a grotte sotterranee.
Il tema dell’emergenza sanitaria – tra i numerosissimi problemi che affliggevano il Regno – venne affrontato dal Fuga con fermezza matematica e rigore ingegneristico. Le pestilenze del periodo indussero l’architetto a progettare una macchina per l’inumazione di elevatissimo calibro civile, basata sull’applicazione di modelli matematici, rispettosa dei corpi, attenta al tema della sanità e dell’igiene urbana.
Dopo l’albergo per i (poveri) vivi – l’imponente Albergo dei Poveri, iniziato nel 175 – arriva adesso il cimitero per i poveri morti.
Dall’altura collinare di Poggioreale, scelta anche per la bontà dei venti “(…) affinché la città immensa non fosse danneggiata dall’ammasso dei cadaveri e quindi dall’aspirazione tossica (…)”, il Fuga osservando la sua imponente opera per i poveri (vivi) realizzata un decennio prima per volere di Re Carlo, avviò subito il suo innovativo progetto definendo il severo confine della civiltà dei morti: tracciò il recinto funebre innalzando muti spezzoni di tufo, fissandone all’interno, come unica unità di misura, il perpetuo ciclico trascorrere dei giorni.
Con schiettezza cartesiana, ripropose l’ampia corte dell’Albergo dei poveri (stavolta misurata in “piedi napoletani” 238×259), ripetendone all’interno la cellula base di 80×80 cm diciannove volte in riga e diciannove volte in colonna, generando così sul terreno una razionalissima maglia di trecentosessanta asole rivolte alle viscere della terra. Sull’incrocio delle diagonali, lastricate da conci in pietra vulcanica locale, installò un lampione in ghisa a tre fiamme. Altre sei vennero scavate nell’atrio d’accesso per un totale di trecentosessantasei fosse, apribili una sola volta all’anno, in ordine, una per i tutti i giorni dell’anno.
Lo schema compositivo, seppur già collaudato e verificato dal Fuga per il Cimitero del Santo Spirito in Roma (quello delle centotré fosse), era decisamente innovativo per la sistematizzazione delle salme; il sistema funerario consentiva infatti di scandire il ritmo del quotidiano rituale di sepoltura: una volta calate le salme verso il basso, la stessa fossa si sarebbe riaperta solo l’anno seguente – riducendo così i rischi di contagio – mentre il giorno seguente si sarebbe aperta la fossa successiva, e così per l’intero anno, ancorché bisestile.
Le fosse, non più collegate all’indeterminato dinamismo della vita terrena bensì alla scientifica staticità delle volte sottostanti, vengono concepite dal Fuga come fondazioni del suo intero progetto, determinanti l’esatto equilibrio dell’impalcato a sostegno di quelle stesse vite contrapposte al vivido immobilismo della morte e del riposo eterno.
Con lucidità, l’architetto Fuga ordinò quindi il complesso funerario attraverso la forza espressiva di quella geometria illuminista basata su figure semplici, intendendola come il più potente strumento in grado di generare forme capaci di trasmettere l’idea dei nuovi valori della comunità, in parte ancora leggibili sulle pietre dell’atrio: Cimitero comune dell’ospedale del regno napolitano degli incurabili, ripartito a tante celle quanto durano i giorni dell’anno.
Per ordine e generosità, Ferdinando IV, pio re delle due Sicilie, ricco di amore dei popoli – fuori le mura sotto il cielo aperto – affinchè la città immensa e molto popolosa – non fosse danneggiata – dall’ammasso di cadaveri … – e quindi dall’aspirazione tossica – dunque dietro l’esempio del principe pissimo – posti in opera – quattromilacinquecento ducati…
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