La tragedia di Marcinelle: 262 morti a causa dell’errata organizzazione del lavoro

Marcinelle (foto Dire.it)
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A Marcinelle, in Belgio, l’8 agosto 1956, 262 minatori morirono per le ustioni, il fumo e i gas tossici: 136 erano italiani. Causa dell’incidente fu un malinteso sui tempi di avvio degli ascensori.

Si disse che all’origine del disastro fu un’incomprensione tra i minatori, che dal fondo del pozzo caricavano sul montacarichi i vagoncini con il carbone, e i manovratori in superficie. Il montacarichi, avviato al momento sbagliato, urtò contro una trave d’acciaio, tranciando un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa.

Si sviluppò un incendio che si estese alle gallerie superiori, mentre sotto, a 1.035 metri sottoterra, i minatori venivano soffocati dal fumo. Solo sette operai riuscirono a risalire. In totale si salvarono in 12.

Tralasciando la questione legata ai diritti dei lavoratori immigrati, nel caso di Marcinelle alla base del tragico incidente c’è stato, tra l’altro, il rischio “organizzazione del lavoro”, rischio che a distanza di 68 anni ancora non viene sufficientemente valutato dei Documenti della Valutazione del Rischio (DVR), nonostante sia la causa di infortuni sul lavoro e di malattie professionali.

I cosiddetti rischi organizzativi sociali dipendono dalle dinamiche aziendali, cioè dall’insieme dei rapporti lavorativi, interpersonali e di organizzazione che si creano all’interno di un ambito lavorativo. L’organizzazione del lavoro, ad esempio, svolge un ruolo fondamentale soprattutto per quanto riguarda l’intensità del lavoro sia dal punto di vista psicologico che fisico.

Lo sviluppo di strumenti idonei a programmare una distribuzione più equa o più gratificante del carico delle mansioni da svolgere, possono essere degli ottimi metodi per migliorare le condizioni lavorative: processi lavorativi chiaramente definiti e noti a tutti. Partecipazione alle decisioni ed autonomia operativa. Assegnazione di compiti eseguibili in relazione alle capacità individuali. Possibilità di accedere a training, formazione o aggiornamento. Alternare mansioni monotone e ripetitive  ad attività che richiedono riflessione. Evitare continue interruzioni del lavoro. Ridurre fattori di disturbo ambientali. Chiarezza nelle responsabilità. Comunicazione efficace tra colleghi, collaboratori e superiori. Gestione dei conflitti irrisolti. Alternanza e pause nelle mansioni a contatto diretto con pubblico.

“Nella maggior parte dei paesi europei – ha sottolineato il presidente del CNEL Renato Brunetta, nel corso di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera a margine della tragedia di Marcinelle – il lavoro degli immigrati offre un contributo determinante all’economia. Il made in Italy non avrebbe raggiunto il suo livello di diffusione e di eccellenza senza l’apporto degli immigrati. Sappiamo, tuttavia, le enormi criticità che il lavoro immigrato determina, e che sono riconducibili, in primo luogo – ma non solo -, all’irregolarità dei flussi, al sommerso e a tutto ciò che ne consegue: scarsa tutela dei diritti dei lavoratori e rischi elevati in termini di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche evasione contributiva e fiscale, degrado delle periferie urbane, processi di disgregazione sociale e di conflittualità, con l’ineluttabile indebolimento delle comunità. Qui serve l’Europa. È necessario che pesi e responsabilità siano equamente distribuiti tra i paesi europei. Ma vanno innanzitutto garantiti flussi regolari. Questa è la chiave di volta per affrontare la sfida delle migrazioni. Dobbiamo prevedere percorsi di integrazione, valorizzazione, professionalizzazione e trasparenza. Servono interventi di formazione e selezione all’origine, secondo logiche di bilateralità. Una forza lavoro invisibile, muta, esposta, sfruttata non potrà mai essere un fattore di crescita, né civile né economica”.

Domenico Della Porta

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