L’inflazione corre ancora nel carrello
In un 2023 segnato ancora da alta inflazione e, in particolare, da forti rincari sui beni alimentari, sempre più famiglie italiane hanno reagito riducendo gli acquisti di cibo e privilegiando i marchi più economici a quelli di prima fascia. La tendenza emerge dall’analisi dell’Istat sull’andamento della spesa per i consumi durante lo scorso anno, in cui si evidenzia che molti nuclei sono stati costretti a risparmiare meno, oltre che a modificare le proprie abitudini di consumo come reazione al carovita. La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata, infatti, del 6,3%, in calo rispetto al 2022 (7,8%) e molto al di sotto del livello pre-Covid (8% nel 2019). Quanto alle scelte alimentari, il 31,5% delle famiglie intervistate nel 2023 dichiara di aver provato a limitare, rispetto a un anno prima, la quantità e/o la qualità del cibo acquistato (erano il 29,5% nel 2022). Più in dettaglio, nel 2023, a fronte di un forte incremento dei prezzi di alimentari e bevande analcoliche (+10,2% la variazione su base annua dell’Ipca), le spese delle famiglie per l’acquisto di questi prodotti sono cresciute del 9,2% rispetto all’anno precedente (526 euro mensili, pari al 19,2% della spesa totale). Gli aumenti, tutti statisticamente significativi, hanno interessato tutte le classi di spesa della divisione alimentare, ma sono stati particolarmente elevati per le spese destinate a cibi pronti e altri prodotti alimentari pronti non altrove classificati (+15,5%, 34 euro mensili), oli e grassi (+12,9%, 17 euro), ortaggi, tuberi e legumi (+12,2%, 69 euro), latte, altri prodotti lattiero-caseari e uova (+11,9%, 65 euro), zucchero, prodotti dolciari e dessert (+9,6%, 23 euro), cereali e prodotti a base di cereali (+9,3%, 83 euro). Per la carne, che da sola rappresenta il 21% della spesa alimentare, l’aumento è stato del 6,7% (111 euro mensili nel 2023).
Complessivamente la spesa media mensile per consumi (anche non alimentari) delle famiglie in valori correnti è di 2.738 euro, in aumento (+4,3%) rispetto al 2022 (2.625 euro), ma in termini reali si riduce dell’1,5% per effetto appunto dell’inflazione (+5,9% la variazione su base annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo).
I rincari non hanno interessato solo il cibo ovviamente. Anche la spesa non alimentare è cresciuta del 3,2% rispetto al 2022 (in media 2.212 euro mensili, che rappresentano l’80,8% della spesa totale), con aumenti attorno al 5% nel Centro (5,1%) e nelle Isole (5,2%). L’aumento interessa la maggior parte delle divisioni di spesa, ma lievitano soprattutto le spese per servizi di ristorazione e di alloggio (+16,5%, 156 euro mensili), per beni e servizi per la cura della persona, servizi di protezione sociale e altri beni e servizi (+14,5%, 138 euro), quelle per servizi assicurativi e finanziari (+14,1%, 76 euro) e le spese per Ricreazione, sport e cultura (+10,8%, 102 euro). A seguire, aumentano le spese per Trasporti (+9,2%, 291 euro mensili), per Istruzione (+8,7%, 16 euro mensili) e per Salute (+3,8%, 118 euro).
Oltre al cibo, l’altra voce di spesa che molte famiglie hanno provato a limitare si conferma anche nel 2023 quella dell’abbigliamento. Come nel 2022, anche nel 2023 la voce di spesa che le famiglie dichiarano di aver limitato è quella di abbigliamento e calzature: la percentuale di chi ha provato a ridurlo è del 48,6%, comunque in lieve diminuzione rispetto al 2022 (era il 50,2). Restano abbastanza stabili, tra chi già spendeva per queste voci, le quote di chi non ha modificato i propri comportamenti di acquisto relativi alle spese per sanità (il 79,1%, era il 78,4% nel 2022) e per beni e servizi per la cura e l’igiene personale (il 63,3%, dal 63,1% del 2022), mentre aumentano le quote di chi non ha modificato l’acquisto di carburanti (70,9%, dal 67,1% del 2022) e di viaggi (55,4%, dal 49,1% del 2022). Le spese per trasporti e turismo, dopo le restrizioni legate al Covid, negli ultimi tre anni sono progressivamente cresciute. M.C.
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