Neuroblastoma, bambina salva dopo 36 mesi di terapia. Capasso: “Risultato straordinario”
Una bambina con neuroblastoma metastatico ad alto rischio e mutazioni nel gene BARD1 è stata trattata con farmaco progettato per colpire quelle stesse mutazioni. Dopo 32 mesi dalla fine della terapia, la paziente non presenta segni clinici di malattia. Si tratta di uno studio del St. Jude Children’s Hospital, negli Stati Uniti, descritto in un articolo pubblicato ad agosto sulla rivista scientifica “The New England Journal of Medicine”. “Un risultato incoraggiante e straordinario”, commenta il ricercatore Mario Capasso, professore di genetica medica all’Università “Federico II” di Napoli e coordinatore scientifico al CEINGE di Napoli, centro di ricerca da anni impegnato a studiare le basi genetiche della malattia anche per via di progetti come quelli sostenuti dalla Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma. “La paziente, resistente ai trattamenti convenzionali, è stata trattata con un nuovo farmaco molecolare chiamato talazoparib, progettato per colpire queste mutazioni”, specifica il professore Capasso.
“La bambina – prosegue – ha mostrato una risposta completa alla terapia, con la totale eliminazione delle cellule tumorali dal midollo osseo. Ancora più incoraggiante: la paziente è rimasta libera da malattia per 32 mesi dopo la fine del trattamento”. “Certo – aggiunge Capasso – è importante monitorare l’evoluzione del suo stato di salute nei prossimi mesi. Ma 32 mesi liberi da malattia sono un risultato straordinario per una paziente con neuroblastoma ad alto rischio con malattia resistente alle terapie standard. Tipicamente, infatti, per questa categoria di pazienti l’aspettativa di vita è di soli pochi mesi”. “Attualmente è in corso uno studio clinico per valutare ulteriormente questo approccio terapeutico”, aggiunge poi il ricercatore in riferimento a un secondo, analogo studio su diversi casi di pazienti pediatrici con diagnosi di tumore solido condotto sempre all’ospedale pediatrico St. Jude. Intanto, il caso americano offre lo spunto parlare più in generale del ruolo della ricerca genetica e dell’apporto del CEINGE che con uno specifico gruppo di lavoro si occupa di questo filone: “Da anni, il CEINGE si dedica allo studio delle basi genetiche del neuroblastoma per comprendere i meccanismi alla base della malattia e sviluppare nuove terapie”, dice Capasso a proposito del lavoro del team di ricerca da lui coordinato insieme ad Achille Iolascon, professore di genetica medica all’Università “Federico II”.
“Uno dei risultati più significativi del team di Napoli – continua – è stata la scoperta di mutazioni in un gene chiamato BARD1. Queste varianti, come dimostrato dagli studi del nostro gruppo, possono alterare il normale funzionamento delle cellule e sono potenziali bersagli per nuovi trattamenti terapeutici”. “Da tutto ciò – conclude Capasso – si comprende come i fondi destinati alla ricerca genetica possano avere un impatto diretto sulla pratica clinica. Inoltre, emerge il fondamentale ruolo di organizzazioni come la Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma a sostegno di questo tipo di ricerca”. Lo studio delle mutazioni nei geni per l’individuazione di “bersagli” da colpire per finalità terapeutiche rientra nelle aree di ricerca sostenute in via prioritaria dalla Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma, ramo scientifico dell’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma, organizzazione non-profit che con diverse iniziative di raccolta fondi promuove i progetti selezionati e finanziati dalla fondazione.
“Continueremo a supportare con determinazione rami di indagine come questi. Ogni passo in avanti come quello osservato in America e il lavoro instancabile di ricercatori come quello dei professori Capasso e Iolascon ci fanno guardare al futuro con fiducia”, commenta Sara Costa, segretaria generale della Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma e presidente dell’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma.
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