Per il 70% delle aziende italiane manca personale qualificato

La difficoltà nel reperire personale qualificato emerge come un problema cruciale per le piccole e medie imprese, che rappresentano il 98% del tessuto imprenditoriale del Paese. Secondo un’indagine dell’I-Aer (Institute of Applied Economic Research), tra il 2024 e il 2028 il fabbisogno di forza lavoro in Italia si attesterà tra i 31 e i 36 milioni di occupati, a seconda degli scenari futuri. Questo dato include la sostituzione di circa 2,9 milioni di lavoratori in uscita. Lombardia, Lazio, Campania, Emilia-Romagna e Veneto guideranno la domanda di nuovi occupati. Tuttavia, nonostante la digitalizzazione abbia trasformato i processi di ricerca e selezione del personale, le pmi faticano a trovare candidati idonei: il 70% segnala difficoltà nel reperire personale adatto. Le pmi continuano a incontrare difficoltà nel reclutare figure qualificate in vari settori: in Tecnologia dell’informazione c’è carenza di sviluppatori software, specialisti in cybersecurity e analisti; Manifatturiero: mancanza di operai qualificati, tecnici di manutenzione e specialisti in automazione industriale; Costruzioni: difficoltà nel trovare carpentieri, muratori ed elettricisti; Logistica e trasporti: penuria di autisti di camion e operatori di magazzino; Alberghiero e ristorazione: scarsità di cuochi, camerieri e addetti alle pulizie; Agricoltura: insufficienza di lavoratori stagionali e specializzati per la raccolta.

Le politiche attive del lavoro, come incentivi fiscali e contributivi per l’assunzione di giovani e disoccupati, sono cruciali per rendere le pmi competitive. La legge di Bilancio 2024 ha introdotto un “superbonus” per le assunzioni, con una deduzione fiscale del 120% per le imprese che assumono a tempo indeterminato, che può arrivare al 130% per categorie svantaggiate. Tuttavia, la semplificazione normativa e burocratica resta un intervento indispensabile per migliorare il processo di assunzione e ridurre i costi amministrativi che gravano sulle pmi.

«La formazione e l’istruzione rappresentano i pilastri fondamentali per ridurre il gap di competenze. Ma una ulteriore leva su cui aprire una riflessione è legata al tema dell’immigrazione: il punto è ormai da anni al centro del dibattito politico, ma quale è l’approccio delle aziende verso questo tema? – spiega Andrea Benigni, ceo di Eca Italia –. La complessità in cui le aziende si muovono abitualmente ha reso le stesse pragmatiche e attente osservatrici dei trend e orientamenti assunti dal mercato del lavoro. Se molte competenze specialistiche non sono acquisibili in Italia è altrettanto vero che alcune aree internazionali, come il Sud America, il Maghreb, il Sud Est Asiatico, sono in grado di offrire un combinato tra qualità e quantità di offerta di lavoro verso cui la pmi in particolare, ma anche la grande azienda, ha mostrato e mostra sensibilità».

La Blu Card, introdotta nel 2023, favorisce l’ingresso di personale extra Ue qualificato nel nostro Paese con possibilità di accesso al di fuori delle quote di ingresso, quindi fuori dallo schema del decreto flussi. La forte discontinuità portata dal decreto 153/2023 è stata quella di abbassare il grado di soglia qualitativa che connota la specializzazione del candidato extra comunitario. Se fino all’emanazione del decreto la qualifica era strettamente connessa al possesso di una laurea, il nuovo scenario consente l’ingresso a lavoratori specializzati non necessariamente laureati, laddove è ormai noto che la specializzazione in azienda non può e non è esclusivamente combinata con un titolo di studio qualificato. (M.C.)

 

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