Sannio, Irpinia e Cilento interno, modelli ideali di sviluppo
Le aree interne della Campania conservano il loro fascino, ma stentano a uscire dall’isolamento in cui spesso si trovano. Sannio, Irpinia, Cilento non costiero potrebbero addirittura diventare un modello di sviluppo. Le aree interne, infatti, costituiscono circa i tre quinti dell’intero territorio italiano, distribuite da Nord a Sud, e presentano caratteristiche simili: grandi ricchezze naturali, paesaggistiche e culturali; distanza dai grandi agglomerati urbani e dai centri di servizi; potenzialità di sviluppo centrate sulla combinazione di innovazione e tradizione. Le aree interne sono, secondo la definizione dell’Agenzia del governo per la Coesione territoriale, «territori caratterizzati dalla significativa distanza dai centri di offerta di servizi essenziali». Tradotto: circa 4.200 comuni, oltre la metà del totale nazionale, il 60% della superficie italiana e circa 13 milioni di persone, quindi intorno al 22% della popolazione italiana. Dopo decenni di spopolamento, negli ultimi anni sono nati molti progetti che mirano a rivitalizzarle – anche nel corso dei G7 che si sono tenuti in Irpinia e a Siracusa – con programmi che parlano alle piccole e medie imprese, alle associazioni sul territorio e alle istituzioni locali.
Per il rilancio e la valorizzazione è tuttavia necessario sostenere investimenti che innalzino l’attrattività di questi luoghi, invertendo le tendenze di declino che le colpiscono (infrastrutturali, demografici, economici) e facilitino meccanismi di sviluppo. Il supporto del Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza si articola soprattutto nel potenziamento di servizi e infrastrutture sociali di comunità e in servizi sanitari di prossimità. Sono 124 le aree individuate dalla Snai-Strategia nazionale aree interne, con oltre 1.900 Comuni (in gran parte sotto i 5mila abitanti) e 4,6 milioni di abitanti. Sono territori nei quali i servizi pubblici latitano e i diritti di cittadinanza – ospedali, strade, treni, connessioni, scuole – risultano quantomeno sbiaditi. Se poi questi territori sono nel Meridione, la forbice della disuguaglianza si allarga ulteriormente. La Snai, promuovendo nuove metodologie di analisi e di intervento – come l’attuazione di sistemi di collaborazione intercomunali – fa leva su fattori che vanno a incidere su servizi primari alla cittadinanza, come scuola, sanità, mobilità e sulla valorizzazione dei punti di forza delle comunità e dei territori che possono essere un’attrattiva per le attività imprenditoriali. L’obiettivo è quello di contrastare da una parte lo spopolamento e dall’altra favorire il nascere di nuove opportunità economiche. Supportando lo sviluppo di questi centri, si supera il divario di un’Italia a due velocità, dando slancio allo sviluppo dell’intero Paese.
«Come Anci siamo convinti che l’agricoltura di qualità abbia un valore strategico per il rilancio delle aree interne, ma per valorizzarle in modo integrato e duraturo serve un approccio che coniughi la gestione delle risorse naturali, l’agricoltura multifunzionale, l’economia circolare e il turismo sostenibile. Per avere risultati concreti, è poi indispensabile coinvolgere le comunità locali e implementare politiche e finanziamenti adeguati». Lo evidenzia Lino Nicola Gentile, sindaco di Castel del Giudice (Isernia), in qualità di delegato Anci per le Aree interne. Gentile si sofferma innanzitutto sull’Agenda Controesodo, elaborata dall’Anci per il sostegno delle aree marginali, con cui auspica che la Snai possa essere trasformata da progetto sperimentale a politica strutturale con politiche ordinarie mirate per le aree più deboli del nostro Paese. «Nel nostro documento sono avanzate alcune proposte concrete per lo sviluppo agricolo, frutto del dialogo continuo con i territori – sottolinea Gentile – richiamando innanzitutto la “multifunzionalità tra produzione alimentare e manutenzione del territorio per la prevenzione dei disastri naturali. Da questo punto di vista sono urgenti provvedimenti legislativi sia per il contrasto all’abbandono dei terreni agricoli che per risolvere le problematiche relative alla frammentazione fondiaria». Inoltre, «appare necessario prevedere misure mirate da un lato alla valorizzazione dei prodotti tipici e tradizionali, attraverso marchi di qualità e certificazioni e dall’altro a facilitare l’accesso ai mercati e alla vendita diretta, mediante lo sviluppo della filiera corta. Mentre siamo assolutamente convinti dello stretto legame tra lo sviluppo dell’economica circolare e quello del turismo sostenibile con la valorizzazione del paesaggio».
Tuttavia, per il sindaco di Castel del Giudice bisogna affiancare queste proposte operative con adeguate politiche da parte delle istituzioni: «È fondamentale offrire incentivi economici e agevolazioni fiscali ai giovani che vogliono avviare attività agricole nelle aree interne, per contrastare lo spopolamento e attrarre nuova forza lavoro qualificata; così come promuovere la creazione di cooperative agricole e incubatori rurali che aiutino i giovani agricoltori a sviluppare idee imprenditoriali innovative». Più in generale «vanno implementati sistemi di pagamento per servizi ecosistemici, dove chi gestisce il territorio riceve compensi per la fornitura di servizi ambientali (come la protezione delle risorse idriche, la conservazione della biodiversità e la prevenzione del dissesto idrogeologico), può incentivare una gestione attiva del territorio e garantire redditi aggiuntivi agli agricoltori», conclude Gentile.
Inoltre i borghi delle aree interne hanno un patrimonio immobiliare che può essere recuperato e riutilizzato, con approcci bioeconomici verdi e circolari e tecniche sostenibili di bioedilizia, per nuovi residenti. Prima di questa operazione, però, è necessario intervenire per risolvere le croniche carenze infrastrutturali anche per quanto riguarda le reti e i servizi alle comunità. Il reinsediamento di nuovi cittadini non può prescindere da queste nuove “connessioni”, così come sono da consolidare e allargare le infrastrutture relazionali nelle loro basi, che comunque sono rimaste forti e stabili nel corso degli anni dello spopolamento. Basti pensare alla forza che il volontariato e l’associazionismo hanno conservato nei piccoli comuni.
Si tratta in sostanza di stabilire un patto tra questa Italia “minore” e il resto del Paese. Un patto che passa innanzitutto attraverso il recupero delle risorse agricole–forestali– pastorali che caratterizzano le nostre aree montane e interne con tutte le filiere di eccellenza. Per esempio, la riaffermazione della gestione sostenibile dei nostri boschi, oltre al ruolo ecologico ambientale che svolge può fornire un aiuto anche dal punto di vista economico e sociale, garantendo nuova occupazione a costi limitati. La riappropriazione delle tradizioni della filiera foresta–legno, su basi tecnologiche innovative, a cominciare dai punti di prima trasformazione come le segherie, possono riattivare un’economia equa e sostenibile in intere vallate.
È fondamentale sviluppare un’economia che punti al contenimento dell’erosione e al recupero del dissesto idrogeologico, alla valorizzazione delle risorse legnose, a un turismo dolce e destagionalizzato, a un’agricoltura che permetta il mantenimento delle tante produzioni di qualità. Un’economia veramente circolare che punti all’uso e al riuso delle risorse. Un’economia che sappia far tesoro delle esperienze di smart working e di formazione a distanza. (M.C.)
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