Vincenzo Gemito, l’ascesa di un genio

di Daniela Esposito

Nella calda notte tra sabato 17 e domenica 18 luglio 1852, un fagottino con appena un giorno di vita venne deposto nella “ruota” dello Stabilimento dell’Annunziata di Napoli da una giovane donna spaventata… Immediatamente accolto, gli venne attribuito il nome di Vincenzo Genito (ossia “nato”) che però, per un banale errore di trascrizione, divenne “Gemito” (Nomen omen?).
Appena quindici giorni dopo, Vincenzo, affidato alle cure di Giuseppina e di suo marito Giuseppe, visse un’infanzia ribelle e turbolenta nei poveri vicoli della città, passando da un mestiere all’altro (poi fonte di tanti suoi soggetti) nel tentativo di raggranellare qualche soldo per mangiare.
Dopo la morte di Giuseppe, Vicenzo aveva 11 anni, Giuseppina sposò un muratore, Francesco Jadicicco, che ebbe grande influenza nella vita del giovane tanto da avere grande rilievo nella produzione futura del grande artista.
Precocissimo, Vincenzo frequentò con costanza e passione le botteghe di due noti scultori napoletani, esprimendo sin da subito il suo meraviglioso talento tanto che, dodicenne, venne ammesso a frequentare il Real Istituto di Belle Arti. Affascinato però dalla vita pulsante della Napoli “antica”, trovava ispirazione nelle figure più popolari e vere della quotidianità. Tra i vicoli nei quali scorrazzava – ragazzino affamato e vivace, tipico scugnizzo – era capace di cogliere con immediatezza l’essenza della natura di uomini e donne, bambini e bambine, mestieranti e popolane, per poi tradurla fedelmente e con grande perizia stilistica in suggestive opere.
Aveva appena 16 anni quando realizzò la prima scultura che, esposta presso la Società promotrice di Belle arti di Napoli, mise in luce le sue straordinarie doti: “Il giocatore di carte”, realizzato in terracotta e gesso e rivestito da una patina bronzea, ritrae un giovinetto perso nello studio delle carte che ha dinanzi. La posa “scomposta”, la mano a tormentare i capelli, il torso nudo rappresentano fedelmente la realtà ma comunicano con veemenza i pensieri che attraversano la mirabile testa china. Ed è qui la grandezza di Gemito: la capacità di esprimere con grande esattezza e sapienza i sentimenti, sentimenti che erompono dalla materia e investono con grande potenza l’osservatore.
Molto apprezzato e noto in patria, tanto da vantare numerosi mecenati e collezionisti, giunse al successo internazionale nel 1877 con l’esposizione del “Pescatore napoletano” al Salon di Parigi, città nella quale si trattenne per tre anni. Fu apprezzato grandemente anche in Inghilterra, dove le pose che ritraeva, sensuali e seducenti, attirarono certo pubblico incline all’omosessualità. Rientrato a Napoli, continuò nella sua attività, studiando il mondo classico e producendo innumerevoli opere in terracotta, bronzo, argento…
La prolifica produzione dell’artista nonché la sua ricca vita mondana vennero interrotte, nell’estate del 1887, da una grave crisi che lo costrinse dapprima al ricovero presso l’ospedale psichiatrico e poi a un volontario isolamento in casa che durò circa un ventennio. Il continuo mettersi alla prova, lo sfidare se stesso ma anche, probabilmente, il tentativo di superare le sue umili origini contribuirono ad alimentare quella tensione vitale che gli consentiva sì di realizzare magnifici capolavori, ma al costo di un equilibrio psichico instabile e difficile da conservare. In questi anni travagliati, dominati – pare – dalla schizofrenia, accudito dalla moglie, dalla figlia e dal “secondo” padre, Mastro Ciccio, si dedicò prevalentemente al disegno, dimostrando anche qui padronanza della forma e della luce e utilizzando le tecniche più disparate: matita, penna, pastello, acquerello, carboncino.
Riprese la vita pubblica nel 1909 incentrando l’ultima produzione sull’oreficeria in oro e argento, realizzando opere di raffinata eleganza.
Il grande artista morì nel 1929, all’età di settantasette anni, in fonderia, legato alla sua arte fino all’ultimo istante.
A Napoli, sue opere sono conservate al Museo Archeologico Nazionale, alle Gallerie d’Italia, al Museo di Capodimonte, al Museo di San Martino, al Museo di Castel Nuovo, al Museo Napoli Novecento. Imperdibili.

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